ARMEN AGOP
A ray of sun interrupts the blackness and ignites in throbbing flakes; some drops of rain and the granite is polished by tears; with the touch of a caress the form awakens, gently oscillating, like a living thing. Then it is possible to enjoy the play of light, to be moved in front of imaginary tears or to listen to the work in continuous movement, with a vibrating profile as that of open and closed lips carrying different messages for each beholder. The subject worked by Armen speaks to the careful observer, often soliciting the desire to touch it as if it were trying to establish a first contact and initiate a dialogue. It is enough to delicately brush the surface with the fingertips and the granite opens, like an introverted friend that finally confides after a pat on the shoulder.
In perfect equilibrium, a refined personal game of volumes and symmetries, the sculptures are brilliantly rotund with subtle lines, almost like thin veins under dark skin. The smooth and leathery epidermis of the black granite is the preferred material of the artist, who works it with all the love of his Egyptian heart.
Born in Cairo in 1969, Armen Agop graduated in 1992 with a BFA from the University of Helwan in Cairo where he also won a scholarship as Assistant Researcher. He taught in the faculty there until 2000, when he made the decision to move to Italy. He has represented Egypt in diverse cultural events: Winter Art Festival of Sarajevo-2001; Young Egyptian Artists in Rome, Italy-2001; and Contemporary Egyptian Art, Toledo, Spain- 2005. Several of his works are in public and private collections in his country of origin, specifically the Egyptian Modern Art Museum (Cairo) and the Aswan Open Air Museum. Currently Pietrasanta, a city in the heart of Versilia that is home to innumerable artists of world fame, has become his adoptive home, but this sculptor preserves well the strong roots that tie him to his own country, hence the choice of granite does not appear a casual one.
A heavy material with its compact grain is so distant from the stratifications of the marble as to seem much too hard to be modelled. Yet under the agile fingers of Armen the granite, no longer static and motionless, is magically lightened, letting fall to earth all that is superfluous leaving a honed, elegant essentiality. After an arduous labour of love worthy of the best poetaes nove, the sculptures are freed from their oppressive crust like enchanted creatures longing to finally come out from under the bark of ancient trees. Born of round forms, ovoid, sometimes similar to cones sweetened by a soft fullness, often hollow on the underside, the form of many of these sculptures terminates at the upper extremity in a delicate gently rising point.
They may be a final point at the conclusion of a phrase, the termination of a line of reasoning or tiny buds ready to burst open, destined to become who knows what corollas of reflections? It is not easy to answer and perhaps to truly understand, caressing the sculpture one needs to listen to the movement. It is an oscillatory motion sought after with extreme precision by the artist and insured through time by the granite's capacity for resistance, protecting the delicate balance and symmetry. A desired rocking motion, wise in its naturalness, that transforms these works of art into loquacious mouths. Nevertheless, the answers remain innumerable and the sculptures seem different to the eyes of each beholder. Next to a drop of darkness that widens across the page of life may appear a meteorite radiated by cosmic waves, while the black disk of a pendulum keeps on reminding us of the inexorable flow of time. All this is seen through the fascinating kaleidoscope of Armen's art that projects images on images in an implacable vortex of stimuli. No single analysis is considered definitive, because, as it happens for the hermetic poetries, in front of the sculptures of Armen an interpretation is tied intrinsically to the sensibility of the observer. Sometimes to make one think that those tiny points on the upper extremity of some sculptures indicate that the priority of the work and the material is closing in on itself, with only a small tendency to open towards others and the external world in an attempt marked by mistrustful reservation. In short the difficulty and the character of this sculptor, firmly vindicate his right to remain in silence without explaining his concepts. In effect Armen avoids titles for his work. Not working with maquettes but through direct carving, he discovers only in the course of making how the sculpture will evolve and is the first to be surprised by what has emerged. There is only one inalienable constant in this process of creation: the extremely fertile meeting between the talent of a young artist and the millennial history of the granite; crossing chronological barriers, to survive time.
Ilaria Cipriani
--- Versione italiana ---
ARMEN AGOP
Un raggio di sole e il nero s'accende in scaglie palpitanti; qualche goccia di pioggia e il granito si lucida di pianto; il tocco d'una carezza e la forma si sveglia oscillando leggera. Come cosa viva. Allora è possibile divertirsi tra quei giochi di luce, commuoversi davanti a lacrime immaginarie o ascoltare l'opera in continuo movimento, col profilo vibrante come quello di labbra aperte e chiuse su messaggi per ognuno diversi. Perché la materia lavorata da Armen parla all'ossevatore attento, che spesso avverte l'esigenza di toccarla quasi per stabilire un contatto capace di avviare la comunicazione. Basta il delicato sfiorare dei polpastrelli e il granito si scioglie, come l'amico introverso che finalmente si confida dopo una pacca sulla spalla. In equilibrio su un raffinato gioco di volumi e simmetrie, le sculture sono lucide rotondità con linee appena accennate, quasi vene sottili dietro una pelle scurissima. L'epidermide liscia e coriacea del granito nero, materiale senza dubbio prediletto dall'artista, che lo lavora con tutto l'amore del suo cuore egiziano. Nato Al Cairo nel 1969, Armen Agop si è infatti diplomato nel 1992 alla Facoltà di Belle Arti della stessa città. Vincitore di una borsa di studio come Assistente Ricercatore, ha insegnato in questa facoltà fino al 2000, anno in cui è venuta maturando in lui la decisione di recarsi in Italia. Ha rappresentato l'Egitto in diverse circostanze (Winter Art Festival of Sarajevo - 2001; Giovani Artisti Egiziani a Roma - 2001; Arte Egiziana Contemporanea , Toledo spagna 2005, ed alcune sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private nel paese d'origine, quali l'Egyptian Modern Art Museum (Il Cairo-Egitto) e l'Aswan Open Air Museum (Egitto). Attualmente Pietrasanta, cittadina versiliese che ospita innumerevoli artisti di fama mondiale, è diventata per lui una patria adottiva, ma lo scultore conserva ben salde le radici che lo legano al suo Paese. Non può quindi apparire casuale la scelta del granito. E' una materia pesante, in grani, compatta, tanto lontana dalle stratificazioni del marmo da sembrare addirittura troppo dura per essere modellata. Eppure sotto le abili dita di Armen il granito, non più statico e fermo, si alleggerisce magicamente, lasciando cadere a terra tutto ciò che è superfluo per vestirsi soltanto della più elegante essenzialità. Dopo un labor limae degno dei migliori poetae novi, le sculture si liberano della scorza opprimente come creature incantate che sospirano uscendo finalmente dalla corteccia di alberi centenari. Nascono così delle forme tondeggianti, ovoidali, talvolta simili a coni addolciti da morbide rotondità. Spesso vuote nella parte inferiore, non di rado queste sculture terminano in estremità delicatamente appuntite rivolte verso l'alto. Sono il punto fermo alla conclusione di una frase, al termine del dipanarsi di un ragionamento, oppure boccioli in pieno divenire, destinati ad aprirsi in chissà quali corolle di riflessioni? Non è facile rispondersi e forse, proprio per capire, accarezzando la scultura bisogna farla parlare nel suo movimento. E' un moto oscillatorio ricercato con estrema precisione dall'artista e assicurato nel tempo dalla capacità del granito di non consumarsi rosicchiando equilibri e simmetrie. Un dondolio sapientemente voluto nella sua naturalezza, che trasforma in bocche loquaci quelle opere d'arte. Ciò nonostante, le risposte restano innumerevoli e le sculture risultano diverse agli occhi di ognuno. Accanto ad una goccia di buio che si allarga sulla pagina della vita può apparire un meteorite irradiato da onde cosmiche, mentre il disco nero di un pendolo continua a ricordare lo scorrere inesorabile del tempo. Tutto attraverso l'affascinante caleidoscopio dell'arte di Armen, che proietta immagini su immagini in un vortice implacabile di stimoli. Senza una lettura unicamente valida. Perché, come accade per le poesie ermetiche, di fronte alle sculture di Armen l'interpretazione è legata in massima parte alla sensibilità dell'osservatore. Tanto da far pensare che quelle piccole punte all'estremità superiore di alcune sculture indichino che la priorità dell'opera e del materiale sia la chiusura in se stessi, con solo una piccola tendenza ad aprirsi verso gli altri e il mondo esterno, un tentativo segnato da diffidente riservatezza. Insomma con la difficoltà propria anche del carattere dello scultore, che rivendica fermamente la libertà di stare in silenzio senza spiegare il suo operato. In effetti Armen evita di mettere titoli alle sue opere. Non lavorando con bozzetti ma a taglio diretto, lui stesso scopre soltanto in itinere dove arriverà la scultura ed è il primo a sorprendersi davanti a quanto ottenuto. Solo una costante irrinunciabile in questo processo di creazione: l'incontro estremamente fecondo tra il talento di un giovane artista e la storia millenaria del granito. Oltre le barriere cronologiche, per sopravvivere al tempo.
Ilaria Cipriani.